Ma che appoggio incondizionato!


Il nostro presidente del consiglio ha dichiarato di dare appoggio incondizionato al varo del pacchetto di accordi commerciali e di investimento tra Unione Europea e Stati Uniti noti come i Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP). Si spera che il carattere così tranciante di questa dichiarazione sia il frutto di motivazioni propagandistiche e non nascondano una certa (pericolosa) tendenza alla semplificazione. O, peggio, riveli una certa attitudine a pensare che un paese come l’Italia, per attrarre investimenti, debba essere pronto ad ogni compromesso.

Questa frase è quindi inaccettabile per tre motivi.

Il primo motivo è culturale. Il nostro paese non deve essere pronto ad accettare qualsiasi condizione per avere investimenti esteri. Le tradizionali teorie sul poter strutturale, pensiamo al lavoro di Lindlbom del 1977, assegnano alle aziende il potere di ricatto, la possibilità di mettere in competizione i governi spostando il proprio capitale laddove è possibile trovare le condizioni migliori. Quanto maggiore è la necessità di investimenti, tanto maggiore sarà pure il loro potere di ricatto. La conseguenza è una corsa al ribasso negli standard di controllo dell’attività economica per attirare gli investimenti delle multinazionali. Nei paesi in via di sviluppo, questo uso della promessa di sospirati investimenti per economie solitamente esangui influenza direttamente l’attività politica e si trasforma in un vero e proprio potere di voto per le multinazionali, come lo ha definito Vaaler. La domanda allora è: l’Italia deve accettare le condizioni dettate dal trattato senza potere ribattere? E’ questo il livello a cui siamo arrivati?

Il secondo motivo è procedurale. Se prendiamo la recente rilevazione del think tank Corporate Europe Observatory (http://corporateeurope.org/international-trade/2015/07/ttip-corporate-lobbying-paradise; consultato il 29/07/2015.), apprendiamo che nel corso della preparazione del mandato per discutere i TTIP, dal gennaio 2012 al febbraio 2014, la DG Trade della Commissione Europea ha avuto 597 incontri a porte chiuse con vari gruppi di interesse. Di questi incontri, l’88% si svolto con rappresentanti di interessi di aziende o associazioni di aziende private e solo nel 9% dei casi la controparte era un rappresentante di interessi di organizzazioni non profit che sostenevano interessi pubblici. Ora, dobbiamo accettare gli accordi anche se non sappiamo bene chi era seduto al tavolo della contrattazione? Anche se è possibile che siano state grandi imprese di altri paesi (le nostre imprese, quasi tutte di piccole dimensioni più raramente siedono ai tavoli Europei) a influenzare le trattative? In aggiunta, la permeabilità tra i consigli di amministrazione delle gramzi multinazionali e le istituzioni comunitarie è tale che forse, piuttosto di dare appoggi incondizionati, si dovrebbe capire come rendere più trasparente il processo di contrattazione (ad esempio, Tobias McKenney è transitato da DG Internal Market a Google).

Infine, esiste una questione di contenuto. Per quanto i TTIP offrano una indubbia possibilità di crescita economica. Un sostegno incondizionato non si concede mai ad una trattativa complessa come questa, che nasconde molti punti dubbi e qualche trappola. Il nostro presidente del consiglio darebbe “appoggio incondizionato” a dei trattati che riducessero i controlli e le barriere per i cibi geneticamente modificati? Per esempio, Barroso durante il suo mandato, è stato è stato su questo tema più rassicurante. Ha dichiarato che mai e poi mai l’Unione avrebbe accettato patti al ribasso in tema di controlli. A prescindere da quanto fosse convinta o propagandistica tale affermazione, fa venire i brividi che Renzi non si sia posto a sua volta problemi del genere dando il suo appoggio incondizionato. Due ipotesi. La prima: Renzi non sa di cosa si tratta nei TTIP e quali siano i pericoli di un appoggio incondizionato. La seconda: Renzi è disposto a qualsiasi compromesso per avere qualche finanziamento in più da qualche multinazionale statunitense. In questo secondo caso, gli effetti deleteri di decisioni leggere, arriverebbero nel lungo periodo, molto dopo l’afflusso di capitali. Di questo ultimo beneficio se ne approprierebbe il governo di Renzi ma delle conseguenze di lungo periodo verrebbe incolpato qualcun altro.

Condividi su:facebooktwittergoogle_pluslinkedinmailby feather

Segui su: facebooktwittergoogle_pluslinkedinby feather