Ogni giorno si parla di diversità. La diversità è pervasiva.
Nella vita di tutti i giorni, nei lavori, nelle organizzazioni …
Spesso le disuguaglianze sono oggetto di contrasti, problemi, perdita di risorse, opportunità e potenzialità.
Perché non sfruttare al meglio le conoscenze, le capacità e il contributo che ognuno di noi può dare secondo la propria personalità?
Per un’organizzazione valorizzare le diversità significa diventare più “competitiva”, non solo più equa e giusta. Condividere risorse eterogenee consente di stare al passo con i cambiamenti dell’economia, sempre più spinta da processi di globalizzazione.
Per gli individui costituisce un’occasione per migliorare la qualità della vita. Incentivandoli a essere più aperti al prossimo, essi imparano a essere più disponibili al dialogo e al rispetto reciproco.
Quindi la diversità non è uno scoglio che impedisce il raggiungimento di obiettivi, è invece una potenzialità che consente a un’organizzazione di creare valore aggiunto, una capacità distintiva per fare un salto in avanti verso una “competitività” ancora più esclusiva.
Diversità è identità.
Il contributo di ogni lavoratore, sempre diverso, è unico e va valorizzato come tale per sviluppare un’unica identità organizzativa.
La coesione delle risorse trasforma il clima di competizione in un clima di cooperazione. Tutto questo crea autostima, fiducia e senso di responsabilità perché ognuno di noi dovrebbe essere parte di un sistema, dove si dialoga, si coopera, si rispettano le diverse specificità degli individui, si cresce insieme realizzando un unico patrimonio a beneficio dell’intera organizzazione.
Ma molto spesso questo spirito di cooperazione manca e numerosi sono i problemi che rallentano la vita di un’organizzazione e creano disfunzioni nel mondo del lavoro
Una delle più grandi diversità è quella di genere.
Nonostante i numerosissimi i progetti per le pari opportunità tra uomini e donne, come ad esempio le famose quote rosa, nella realtà le discriminazioni sono ancora forti e fanno ancora male.
La situazione più amara riguarda le donne tra i 35/50 anni nel pieno della loro attività lavorativa. Esse potrebbero scalare velocemente quella montagna chiamata carriera, ma si trovano troppo spesso ad affrontare problemi derivanti dalla difficoltà di conciliare i diversi ruoli che ricoprono: madri, figlie con genitori anziani e lavoratrici.
Spesso prive di supporto familiare e/o poco aiutate da servizi e da strutture sia pubbliche sia private.
Questo demotiva e spinge le donne a rinunciare a percorsi di crescita professionale o addirittura al lavoro stesso.
Le donne più fortunate puntano a raggiungere la semplice sicurezza lavorativa; altre ancora puntano al salto di carriera per ottenere non solo una migliore stabilità economica, ma anche per sentirsi realizzate nel ricoprire un ruolo sociale che le fa sentire utili all’interno del gruppo.
Esse si trovano così di fronte discriminazioni, favoritismi, esclusioni che impediscono loro di emergere: sopra di loro c’è un soffitto di vetro, vedono i piani alti delle organizzazioni, ma non ci arrivano.
Problemi di conciliazione dei tempi, della vita privata e di quella lavorativa, delle diverse priorità riguardano solo le donne. I colleghi maschi sono poco disponibili a svolgere i compiti delle colleghe in maternità o in aspettativa. Quest’ultime sono allora più “assenti”, sono meno inclini a lavori improvvisi o urgenti perché non hanno tempo di organizzarsi e, spesso, si chiudono in un guscio davanti a imprevisti o litigi. Tutto questo, in un ambiente lavorativo che non condivide forme di flessibilità o politiche sociali e del lavoro, crea tensioni e conflitti.
Diverse sono le politiche a livello nazionale ed europeo create per mediare e sostenere le pari opportunità, come ad esempio nel mondo del lavoro la legge 125/1991, nell’imprenditoria la legge 215/1992, nella formazione il Fondo Sociale Europeo. Lo sviluppo delle pari opportunità nell’ambito occupazionale in Italia è garantito soprattutto grazie alle azioni dell’Unione Europea in termini di legislazione, finanziamenti e indirizzi di programmazione.
Le azioni UE sono soprattutto in materia di parità di retribuzione e nell’adozione di discriminazioni positive, ovvero norme che assicurino priorità alle donne rispetto agli uomini, in quei settori dove incontrano maggiori difficoltà ad affermarsi.
I fondi stanziati hanno finanziato molti progetti per incentivare la flessibilità nelle imprese, come il telelavoro, forme di part-time, formule come job-sharing, job rotation e flessibilità di orario. Questo ha ridotto l’assenteismo nelle imprese coinvolte nelle politiche sociali di circa il 20-30%, prevenendo conflitti e favorendo un clima organizzativo migliore.
Questo ci dice quanto sia necessario pensare e sviluppare interventi di genere ancora più precisi e incisivi.
Le donne spesso riescono meglio negli studi dei colleghi maschi, sono più propense ad imparare ed investono di più in cultura dei maschi. Nelle nuove generazioni aumentano le donne che accettano di rivestire cariche prestigiose, mettendo così a frutto la fatica degli studi passati.
Parliamo soprattutto di donne che decidono di diventare quadro, ricoprire cariche dirigenziali o che scelgono la libera professione. Negli anni recenti la crescita dell’occupazione femminile si è giovata della dinamica positiva dei servizi, settore in cui è presente di gran lunga la quota più rilevante di donne occupate.
Ogni anno il numero di donne nelle organizzazioni cresce. Le istituzioni, le associazioni, le imprese, le scuole si impongono per far respirare l’aria fresca di novità… si tenta di smontare pregiudizi culturali e si cambiano situazioni di comodo, si stravolgono stereotipi e si sviluppa una nuova cultura più aperta e meno limitata da standard definiti e per questo irremovibili!
Questa è la strada, ma occorre continuare a correre.
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